E chi lo avrebbe mai detto? BuzzFeed, Huffington Post e Verizon sono in crisi non nera, ma nerissima. Quelli che fino a qualche mese fa venivano considerati come la nuova frontiera dell’editoria e del giornalismo, si trovano ora a tagliare drasticamente stime, valore e posti di lavoro.
Negli ultimi giorni BuzzFeed e Verizon -che controlla Huff Post, Aol e Yahoo- hanno tagliato rispettivamente del 15% e del 7% la forza lavoro, procedendo anche con una forte svalutazione dei loro asset che, nel caso di Verizon, è arrivata a superare i 4 miliardi di dollari.
Strozzati dai social e non solo
Ma cosa ha causato un così forte e rapido declino? È presto detto: una mancata strategia di sviluppo e la totale dipendenza dal mondo social. Sembrerà strano, a tratti assurdo, ma è così. Imperi -perché di veri imperi si parlava- sono stati costruiti su delle fondamenta d’argilla, il traffico generato dalle decine di pagine Facebook che avevano creato in pochi anni e che nel giro di poche settimane, con il cambio di un algoritmo, hanno perso tutta la loro forza propulsiva mostrando il re nudo.
Dalla sera alla mattina si sono accorti che nessuno vedeva più i loro articoli e, cosa ancor più grave, nessuno li andava a cercare. Una strategia basata sulla produzione di contenuti usa e getta, senza spessore e non unici era rovinosamente crollata lasciandogli tra le mani poco o nulla.
Sedotti e abbandonati
La storia che lega tra loro questi editori digitali e Facebook è un po’ come una storia d’amore. L’azienda di Palo Alto ha coccolato e incentivato realtà come BuzzFeed ad investire e aumentare la propria presenza social garantendogli la massima visibilità, corsie preferenziali e anche un po’ di remunerazione. Un bel giorno però, come capita spesso, ci si sveglia e tutto è cambiato, quel che sembrava amore era solo un calesse e ti ritrovi con un pugno di mosche.
Ovviamente stiamo estremizzando, ma in sintesi è quel che è successo. BuzzFeed si è ritrovato con una visibilità più che dimezzata e incapace di sostenere il traffico necessario. Al contempo una strategia scellerata -che aveva totalmente “dimenticato” di creare valore attorno al brand, far sì che il brand offrisse qualcosa di veramente utile che la gente potesse e volesse ricercare- li ha lasciati del tutto scoperti anche dalla possibilità di fidelizzare l’utenza.
Nessuno cerca BuzzFeed sui motori di ricerca, nessuno è interessato a cercare “I 10 oggetti più rosa al mondo” e così è iniziato il rapido declino.
Ma BuzzFeed non è il solo, poche settimane fa Mic ha annunciato la propria cessione a Bustle Digital Group per 5 milioni. Refinery29, sito dedicato al lifestyle, ha licenziato il 10% dei dipendenti. E Vice Media ha annunciato cambi al vertice e una riduzione del 15% della forza lavoro.
Tutta colpa di Facebook
Poche ore dopo quesa “mattanza” di posti di lavoro sono giunte alla Federal Trade Commission numerose missive che invocano il breakup di Facebook, ovvero la scorporo e la cessione di WhatsApp e Instagram. L’accusa -a parere di molti decisamente seria- è che ormai si è in presenza di un monopolio che mina e controlla la libertà imprenditoriale, d’informazione e soprattuto la privacy.
È vero che Facebook li ha “traditi”, ma è stato il colosso di Paolo Alto a imporgli una strategia basata esclusivamente sull’acquisizione di traffico dai social? È stato forse Fb ha impedirgli di creare un valore aggiunto che facesse sì che gli utenti potessero anche pensare di sottoscrivere abbonamenti, come fatto dal New York Times?
Cosa fare ora?
Nell’annunciare i 250 licenziamenti -che erano stati preceduti da altri 100 sul finire del 2017- Jonah Peretti (chief executive di BuzzFeed) ha dichiarato che il gruppo punta ad investire in aree teoricamente più redditizie quali e-commerce e contenuti offerti su licenza. Tagli così consistenti e repentini fanno però intuire che l’obiettivo è un altro: preparare quel che resta del brand a possibili fusioni o cessioni.
Anche Vice è sulla stessa lunghezza d’onda e cercherà di rilanciarsi con una strategia incentrata sulla produzione di contenuti conto terzi, maggiore presenza nel mondo televisivo e lo sviluppo dell’agenzia pubblicitaria Virtue.
Non sappiamo se questi nuovi piani porteranno a qualche risultato -noi ne dubitiamo molto- ma di certo sappiamo che è suonata la campanella, la ricreazione è finita ed è ora che l’editoria si dia una mossa. Sfornare advertorial in massa, autocelebrarsi, vivere di ricordi del tempo che fu non basta più.